Essere o non essere vulnerabile, questo è il dilemma

Alzi la mano chi non si è mai sentito vulnerabile.

Ok… posso alzarne due?!

Quando, a marzo dell’anno scorso ho iniziato a lavorare al progetto di MAREIOS, ero pronta a scalare le montagne pur di realizzarlo. Mi sono messa subito sotto con i corsi, i libri e lo studio. Le basi c’erano, ma non erano sole. Ad accompagnarle c’era un problema non indifferente: la mia scrittura era soprattutto romanzata e articolata, con un lessico ricco e impegnativo. La cosa più difficile era superare questo scoglio e assorbire come una spugna l’improvviso cambio rotta. Dovevo tirarmi su le maniche ed entrare nell’ottica commerciale della scrittura di business più diretta e finalizzata a un obiettivo. Altro scenario, altro metodo, altro stile. Altro tutto.

Non ero per niente sicura di farcela. Non volevo mostrare un fianco già troppo scoperto.

Nei miei romanzi prevalevano l’arte, la fantasia e una sensibilità forse eccessiva. Ero consapevole della fatica che la scrittura comportava, ma era l’approccio, questa volta, a essere naturalmente diverso, più ingegneristico, più tecnico, più programmato. Nello storytelling lavori con la realtà complessa e affascinante delle piccole imprese che mirano a distinguersi, a farsi notare e a farsi scegliere.

Mi sono detta: vuoi davvero aprire la Partita Iva e imbarcarti in un traguardo così lungimirante, per andare a caccia di nuovi orizzonti narrativi?

Come potrai immaginare, la risposta non è arrivata in un battibaleno. In mezzo al fatidico cambiamento ci sono stati fulmini, saette e blocchi dello scrittore come se piovesse. Provavo e riprovavo, ma non c’era verso. Non riuscivo a staccarmi dall’estro e dall’improvvisazione. Ho dovuto chiudere nel cassetto quella che era una stata una parte sostanziosa e sostanziale della mia vita letteraria. Ero in alto mare. Nuvole minacciose tappezzavano il cielo di una davvero improbabile skipper, in grado, al massimo, di rimanere a galla grazie alla scialuppa di salvataggio che fino a quel momento non l’aveva mai abbandonata: l’ambizione.

Ho riflettuto a lungo sul da farsi, sul come e sul perché. Tanta, ma proprio tanta roba che mi ha mandata in crisi.

Con i momenti di riflessione sono iniziati i guai e poi la confusione totale. Certi labirinti di ripensamenti, che neanche Icaro con le ali di cera ne sarebbe uscito. Immaginare di salire, seppure in senso figurato, su una barca (tra l’altro, non so nuotare, ma non dirlo a nessuno!) per me significava vivere una mezza tragedia.

Prendere o lasciare.

Dovevo buttarmi, cavalcare l’onda con il coraggio che non avevo mai avuto. Solo con l’immaginazione avrei imparato a navigare in quel mare che amavo più di me stessa, ma di cui avevo una paura tremenda, perciò la scelta di chiamare il mio progetto MAREIOS è stata una sfida senza precedenti.

Avevo bisogno di una prima tappa importante, quella del naming, che ha aperto il giusto varco negli step successivi. In un secondo momento avrei trovato le parole per spiegarti le motivazioni che mi avevano spinta a fare qualcosa che non avevo mai fatto: mettere in luce la mia nuova identità verbale e renderla autorevole attraverso una narrazione allineata con il pubblico e con la personalità espressiva.

Mi sentivo un pesce fuor d’acqua. L’unico modo era entrare in acqua.

Pur sapendo che tutto ciò avrebbe creato un bel po’ di scompiglio, avvertivo la necessità di tuffarmi per non avere rimpianti, per non dire, un giorno, di non averci nemmeno provato. Durante l’attraversata ho dovuto scontrarmi con le mie insicurezze e con una mentalità aperta, chiara e orientata al business. Facevo lunghe passeggiate al mare per scaricare la tensione. I barlumi di ispirazione erano ridotti ai minimi termini. All’imbrunire, mentre aspettavo il tramonto sulla spiaggia, seduta su un tronco riportato dalle mareggiate, scorgevo in lontananza la luce del faro. Quella luce era magica. Avevo deciso che mi avrebbe guidato e spronato ad andare avanti sempre.

Non potevo e non volevo abbattermi.

Negli istanti di luce e buio a intermittenza, mi capitava sempre più spesso di voler mettere nero su bianco le mie impressioni a caldo. È nato così il Diario di bordo che racconta a chi come me vuole migliorare la comunicazione della piccola grande impresa per cui sta lottando con tutte le sue forze, liberandosi degli spettri e sfidando i mulini a vento della propria vita privata.

Meriti qualcosa in più, pensavo tra me e me.

Qualcosa che ti ripaghi degli immensi sacrifici, delle parole non dette per timore di non essere compresa fino in fondo nella tua evoluzione professionale. Devi liberarmi di tutti i silenzi che ti impediscono di salpare e di prendere il largo in sicurezza.

Dovevo andare incontro a quel benedetto cambiamento, raccoglierne i frutti come fossero conchiglie. Anche se salire su quella bendetta barca immaginaria, padroneggiando le vele, mi sarebbe costato passi lenti e mete quasi irraggiungibili. La sfida era prendere il mare, nonostante non fosse mai stato nelle mie corde. L’avevo osservato da molto vicino un milione di volte, rapita dal movimento delle onde e dai riflessi luccicanti che mi avevano incoraggiata a reinventarmi dando un senso a tutto questo. 

Potevo farcela. Non stavo salvando il mondo, ma un sogno in cui i miei valori erano finalmente affiorati. Che cosa c’è di più forte di un sogno che vuoi raggiungere, nonostante tutto?

Le motivazioni per salire su quella benedetta barca mi riportano ogni volta al senso di giustizia che coltivavo da ragazza, quando studiavo legge. Per questo sentivo quanto fosse giusto trovare un equilibrio narrativo che restituisse luce alle realtà professionali che remano con il linguaggio come ho remato io prima di sentirmi padrona del riscatto e della libertà che stavo cercando come uno scrigno prezioso celato nel fondale marino.

La narrazione, adesso, non è più solo fantasia creativa, ma proposta seria e convincente, che si fonde con le intenzioni autentiche che mi porto dentro. Sono pronta grazie a MAREIOS. Sono preparata a raggiungere la meta che prefissata: la chiarezza. Questa volta ad aspettarmi ci sei tu, protagonista indiscussa della tua personale storia, come lo sono stata io della mia.

Cara realtà intrepida, hai molto da dire e da dare. È arrivato il momento di mollare gli ormeggi, di abbandonare il ponte di coperta.

Voglio dirtelo così: trovare le parole giuste ti appassionerà così tanto da perdere il senso del tempo.

Farti brillare e aiutarti a spiegare le vele della tua realtà professionale è ciò a cui aspiro dalla mia torre faro. Ti va di raggiungermi scrivendomi? Ti svelo un segreto: ho un debole per i messaggi in bottiglia e per le missioni possibili.

Ciao, grazie per aver letto questo post.

Sono Marina, curo l’identità verbale dei liberi professionisti e scrivo testi per siti web.

Insieme tracciamo la vera rotta della tua strategia di comunicazione, per imparare a riconoscere la tua verità espressiva e a raccontarti con successo nell’oceano digitale.

 

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